Pittore perugino attivo nella seconda metà del XIII secolo
Croce dipinta
1280-1299 ca.
Tempera su tavola
173 x 153 x 6 cm
Sala 01 — Piano 3°
Croce in legno di pioppo, sagomata, con fondo rivestito in lamina d’argento dorata a mecca. Ai lati del corpo di Cristo sono rappresentati a figura intera la Vergine e san Giovanni Evangelista, mentre nelle testate laterali sono due angeli dolenti. La croce sviluppa l’iconografia del Christus patiens (o “Cristo morto”, con il capo reclinato sulla spalla e gli occhi chiusi) che nel corso del tempo ha sostituito l’archetipo del Christus triumphans ( o “Cristo vivo”, ossia il Cristo vivo con gli occhi aperti a significare il trionfo sulla morte). L’iconografia del Christus patiens si sviluppa in Umbria sull’esempio della perduta croce che Giunta Pisano dipinse nel 1236 per la Basilica di San Francesco ad Assisi e sul quale si innesta l’influsso di Cimabue, che alla fine del XIII secolo lavorò agli affreschi della Basilica assisiate. Chiari riferimenti a tale cultura figurativa sono la torsione del corpo del Cristo e le figure della Vergine e di san Giovanni. I dolenti sono rappresentati a figura intera nel tabellone centrale invece che sulle testate laterali, seguendo una tradizione umbra, più propriamente spoletina.
Croce in legno di pioppo, sagomata, con fondo rivestito in lamina d’argento dorata a mecca. Ai lati del corpo di Cristo sono rappresentati a figura intera la Vergine e san Giovanni Evangelista, mentre nelle testate laterali sono due angeli dolenti. La croce sviluppa l’iconografia del Christus patiens (o “Cristo morto”, con il capo reclinato sulla spalla e gli occhi chiusi) che nel corso del tempo ha sostituito l’archetipo del Christus triumphans ( o “Cristo vivo”, ossia il Cristo vivo con gli occhi aperti a significare il trionfo sulla morte). L’iconografia del Christus patiens si sviluppa in Umbria sull’esempio della perduta croce che Giunta Pisano dipinse nel 1236 per la Basilica di San Francesco ad Assisi e sul quale si innesta l’influsso di Cimabue, che alla fine del XIII secolo lavorò agli affreschi della Basilica assisiate. Chiari riferimenti a tale cultura figurativa sono la torsione del corpo del Cristo e le figure della Vergine e di san Giovanni. I dolenti sono rappresentati a figura intera nel tabellone centrale invece che sulle testate laterali, seguendo una tradizione umbra, più propriamente spoletina. Estranea alla consuetudine umbra è la presenza degli angeli ploranti nei rinforzi laterali. Il corpo del Cristo è caratterizzato da un accentuato calligrafismo che sottolinea i muscoli e le articolazioni, ma anche le pieghe delle stoffe. La croce denota una tendenza fortemente espressiva, infatti lo spirito “ironico” e la resa quasi caricaturale dei volti degli angeli e dei dolenti sono soluzione elaborate per accentuare la tragicità dell’evento a cui assistono, determinando un forte coinvolgimento emotivo.
La notizia della provenienza del dipinto dall’abbazia di Santa Maria in Valdiponte, detta di Montelabate, riportata da una guida della Pinacoteca Vannucci del 1909 non ha trovato a oggi riscontro, pertanto la collocazione originaria resta ignota. È certo, invece, che l’opera sia pervenuta alla Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Perugia nel 1810 a seguito delle operazioni di demaniazione. La vicenda critica della croce è piuttosto controversa: una parte della letteratura artistica, ravvisando influssi del Maestro di San Francesco, l’ha attribuita a un anonimo pittore umbro della fine del XIII secolo; mentre un altro filone, rilevando forti punti di contatto con il cosiddetto Maestro del Trittico Marzolini, evidenti soprattutto nel violento espressionismo e in certi compiacimenti grafici, ha assegnato l’opera ad un’anonima personalità artistica che, sotto il nome convenzionale di Maestro di Montelabate, raccoglie un discreto numero di opere. Studi successivi, che si sono avvalsi di nuovi dati emersi a seguito di un restauro, hanno indotto una parte della critica a espungere la croce dal catalogo delle opere attribuite al Maestro di Montelabate: l’espressionismo fortemente accentuato che rischia di scadere nel caricaturale e nel grottesco e l’incerta padronanza della tecnica pittorica mal si accorderebbero con i caratteri degli altri dipinti che condividono una maggiore omogeneità e una qualità più elevata. La croce è stata pertanto assegnata ad un anonimo pittore perugino attivo nell’ultimo ventennio del Duecento, ipotesi tuttavia non accolta unanimemente dalla critica più recente che attribuisce certe difformità all’intervento di aiuti e ha ricondotto la tavola nel corpus delle opere attribuite al Maestro di Montelabate.
Liana Baruffi
