Calice e patena di Benedetto XI
1298-1304
oreficeria
calice 23,5 x 17,5 x diam. 22 cm, patena diam. 21 cm
Opera n. 30 — Sala 17 — Piano 3°
Il calice e la patena originale sono menzionati negli inventari della sacrestia di San Domenico di Perugia e in due di questi (1417, 1430) sono riferiti a papa Benedetto XI (1303-1304), che visse nella città umbra gli ultimi due mesi del suo breve mandato. Il calice rimase in sacrestia fino al 1863, quando passò ai Musei Civici a seguito della soppressione degli ordini religiosi e successivamente confluì nella raccolta della Galleria. Dopo una prima riflessione della critica che lo riferiva al XIV-XV secolo, si deve a Santi un primo inquadramento coerente del manufatto che lo considerò opera non umbra, ma senese, pur non trovando rapporti con il calice del senese Guccio di Mannaia donato da Niccolò IV alla basilica di Assisi, unica importante opera della medesima tecnica che lo precede nel tempo. La critica più recente ha ricondotto l’esemplare di Perugia nell’ambito delle officine orafe pontificie riconoscendone uno stile vicino ai modi del senese Pace di Valentino (Hueck 1982).
Il calice e la patena originale sono menzionati negli inventari della sacrestia di San Domenico di Perugia e in due di questi (1417, 1430) sono riferiti a papa Benedetto XI (1303-1304), che visse nella città umbra gli ultimi due mesi del suo breve mandato. Il calice rimase in sacrestia fino al 1863, quando passò ai Musei Civici a seguito della soppressione degli ordini religiosi e successivamente confluì nella raccolta della Galleria. Dopo una prima riflessione della critica che lo riferiva al XIV-XV secolo, si deve a Santi un primo inquadramento coerente del manufatto che lo considerò opera non umbra, ma senese, pur non trovando rapporti con il calice del senese Guccio di Mannaia donato da Niccolò IV alla basilica di Assisi, unica importante opera della medesima tecnica che lo precede nel tempo. La critica più recente ha ricondotto l’esemplare di Perugia nell’ambito delle officine orafe pontificie riconoscendone uno stile vicino ai modi del senese Pace di Valentino (Hueck 1982). Per Francesca Pomarici (2000) ad un ambito romano rinvierebbero sia la struttura architettonica del calice sia l’evidenza data alle figure dei santi Pietro e Paolo. Interessante è il richiamo alla doppia vasca della Fontana Maggiore di Perugia evidente nei due rocchetti sovrapposti del fusto. Se alcuni elementi, come la coppa molto svasata e la forma del piede, evocano il celebre modello assisiate, tuttavia l’impostazione architettonica del fusto e gli smalti legati ancora ad una cultura bizantina dell’esemplare perugino inducono anche Santanicchia (2005; 2006) a cercare l’autore del nostro calice in un ambito diverso da quello senese o locale. Secondo lo studioso la struttura più costruita e la ricca decorazione lo avvicinano ad oggetti come il reliquiario di San Galgano restituito a Pace di Valentino (orafo senese attivo presso la corte pontificia in almeno due diversi momenti), con il quale l’esemplare della Galleria condivide numerose scelte formali (colonnine tortili, cornicette con dentelli decorati a foglie d’acanto, ossessione decorativa). Anche per le placchette smaltate è stata evidenziata la compatibilità con prodotti dell’ambiente artistico romano-laziale. Resta quindi più che plausibile l’attribuzione del calice al contesto delle officine pontificie, prossime alla cerchia di Pace di Valentino. Santanicchia propone l’identificazione delle figure del diacono e del vescovo con i santi protettori di Perugia Lorenzo ed Ercolano. La data proposta corrisponde all’effettivo arrivo in città della corte pontificia al cui seguito era probabilmente anche il prezioso manufatto.
Il calice poggia su una base mistilinea a lobi e punte rialzata su un gradino modanato e decorato da una serie di rosette. Colonnine tortili evidenziano gli angoli. Il corpo del piede risulta fittamente decorato da motivi fogliacei tra i quali si inseriscono formelle in smalto traslucido a forma di compasso gotico leggermente allungato. All’interno sono raffigurati la Crocifissione, San Paolo, Santo diacono (San Lorenzo?), Santo vescovo (Sant’Ercolano?), San Domenico, Santa Maria Maddalena, San Giovanni Battista, San Pietro. Una cornice a dentelli prelude al fusto a sezione ottagonale formato da due rocchetti sovrapposti di diverse dimensioni. Colonnine tortili poste in corrispondenza degli spigoli delimitano le facce occupate da smalti champlevé a figure risparmiate che riproducono animali fantastici ed elementi fitomorfi. Il nodo a cipolla ospita otto castoni quadrilobati contornati da motivi fogliacei. Le formelline sono decorate con smalti opachi e traslucidi raffiguranti i busti dei quattro Evangelisti con teste sostituite dai rispettivi simboli alternati a girali e rosette. Un altro rocchetto, sormontato da una cornice a dentelli cesellati a motivi fogliacei, immette al sottocoppa con profilo a lobi e punte ospitanti girali e uccelli fantastici eseguiti in smalto traslucido. Coppa svasata a forma di tronco di cono rovesciato.
La patena circolare con tesa liscia è decorata da una fascia interna incisa a rombi. La sponda ondulata immette al cavetto con due cordonature sovrapposte formate da lati curvi inflessi ed estroflessi. Al centro è una formella polilobata, in smalto traslucido, nella quale è raffigurato Cristo benedicente entro una mandorla sostenuta da sei angeli in volo. La patena è ricordata negli inventari più antichi della sacrestia di San Domenico, dove, insieme al calice, appare riferita a papa Benedetto XI. Dal 1548 la patena non è più menzionata e se ne perde traccia fino al fortuito ritrovamento avvenuto nel 1954, sotto al coro della chiesa domenicana. L’occultamento della patena in oggetto, insieme ad altre tre, è stato messo in relazione da Santi con il difficile momento che attraversarono i domenicani in concomitanza delle guerre che funestarono Perugia nella prima metà del XVI secolo, e che comportò la vendita di parte delle oreficerie ecclesiastiche per far fronte alle più disparate necessità. E’ probabile che in tale occasione qualche frate decise di mettere al sicuro alcuni beni per proteggerli da possibili ulteriori dispersioni perdendone poi memoria.
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