Maestro di San Francesco
Croce processionale bifacciale
1270-1272 circa
Tempera su tavola
128,5 x 78 x 4,5 cm
Sala 01 — Piano 3°
La croce è documentata sin dal XV secolo nella chiesa dell’ospedale della Misericordia di Perugia, i cui inventari quattrocenteschi la ricordano una volta come “de lignopictacumbotonibus”, un’altra come “de lignodeaurata in tuctedoifaciecumboctonibuscircum circa”. Si ritrova poi nel 1537 sull’altar maggiore e infine in sagrestia, dove rimarrà fino all’ingresso in Galleria, avvenuto prima del 1879.
Tale tipologia di croce opistografa, d’origine umbra, si attesta a partire dalla metà del secolo XIII e conosce immediata diffusione, anche grazie al proliferare delle confraternite laicali, per fungere sia da reliquiario, sia da vessillo processionale.
Il soggetto principale è lo stesso da ambo i lati: il Cristo in croce, nell’iconografia del Christus patiens, affiancato dalla Vergine a sinistra e da san Giovanni Evangelista a destra rappresentati a figura intera sui tabelloni – come spesso avviene in territorio perugino e spoletino – e non, secondo la più consolidata usanza, sui bracci della croce, prevalentemente a mezzobusto.
La croce è documentata sin dal XV secolo nella chiesa dell’ospedale della Misericordia di Perugia, i cui inventari quattrocenteschi la ricordano una volta come “de lignopictacumbotonibus”, un’altra come “de lignodeaurata in tuctedoifaciecumboctonibuscircum circa” Si ritrova poi nel 1537 sull’altar maggiore e infine in sagrestia, dove rimarrà fino all’ingresso in Galleria, avvenuto prima del 1879.
Tale tipologia di croce opistografa, d’origine umbra, si attesta a partire dalla metà del secolo XIII e conosce immediata diffusione, anche grazie al proliferare delle confraternite laicali, per fungere sia da reliquiario, sia da vessillo processionale.
Il soggetto principale è lo stesso da ambo i lati: il Cristo in croce, nell’iconografia del Christus patiens, affiancato dalla Vergine a sinistra e da san Giovanni Evangelista a destra rappresentati a figura intera sui tabelloni – come spesso avviene in territorio perugino e spoletino – e non, secondo la più consolidata usanza, sui bracci della croce, prevalentemente a mezzobusto.
Nella cimasa del recto è dipinta la Madonna orante tra una coppia di angeli, mentre il corrispettivo spazio sul verso è riservato all’iscrizione, in lettere capitali dorate su fondo rosso: “IHC NAZARENUS / REX IUDEORUM”, con il sigma del cristogramma nella forma lunata che l’avvicina a una C maiuscola. Sul recto la medesima scritta si legge, più piccola, sotto il busto della Vergine. Altra variante di notevole rilievo iconografico è la presenza, sulla parte anteriore, della figura di san Francesco genuflessa che sostiene con entrambe le mani il piede destro di Cristo e vi poggia dolcemente la guancia. Francesco è inginocchiato sul Golgota, alla cui base – come voleva l’antica leggenda, proprio in quegli anni sconfessata dal domenicano Jacopo da Varazze – è sepolto il teschio di Adamo, bagnato dai rivoli di sangue che sgorgano dalle ferite del Cristo. Motivi ornamentali a forma di stella campeggiano sopra e sotto le estremità del braccio corto della croce e in alto, in asse con l’aureola aggettante di Cristo.
Mentre Van Marle aveva ascritto l’opera alla scuola del Maestro di S. Francesco, Sirén nel 1922 la considerò autografa, attribuzione che è stata perlopiù confermata dalla successiva letteratura critica, tuttavia spesso orientata a riconoscervi una qualità meno sostenuta rispetto alla croce del 1272 e quindi un maggiore intervento della bottega (SandbergVavalà, Garrison), quando non addirittura la totale responsabilità di uno stretto seguace (Santi, Toscano).
I risultati dell’accurato restauro condotto tra 1992 e 1993 dalla Tecnireco sembrano però fornire dati confortanti per ribadire la paternità del Maestro di San Francesco. È stato infatti appurato che la tavola ha subito almeno due ‘aggiornamenti’ abbastanza radicali, il primo dei quali in tempi assai prossimi alla prima redazione della croce. E alla stesura originale appartengono senza alcun dubbio proprio quelle parti che rimandano più da vicino alla croce del 1272, tanto da apparire quasi sovrapponibili: le eleganti volute delle aureole incise sull’oro e il fitto reticolato che si offre come fondale ai piedi confissi del Cristo, sul quale si staglia Francesco. Quest’ultimo motivo è assolutamente identico nelle due croci, con la minima variante degli elementi che delineano la griglia geometrica, raddoppiati nella croce bifacciale, singoli e più spessi nella croce monumentale; la decorazione ricorre anche nella pressoché coeva ‘croce Stoclet’ ora alla National Gallery di Londra (NG 6361), con la quale la tavola perugina condivide anche l’impianto ornamentale dei bracci. Facilmente riconoscibili sono anche i rivoli di sangue che si raccolgono in piccole pozze palpitanti: identici ricorrono nelle due croci perugine, in quelle di Parigi e Londra, così come nella Deposizione proveniente dal paliotto di S. Francesco al Prato, anch’esso custodito alla Galleria Nazionale dell’Umbria col numero d’inventario 22. I raffronti stringenti tra le due croci – tra i quali deve aggiungersi almeno la capigliatura di Gesù, con le due ciocche ondulate che ricadono sulla spalla sinistra – non possono estendersi oltre per la vastità delle ridipinture della tavola bifacciale; sono tuttavia sufficienti a ribadire la medesima paternità per le due opere e a contenere il ruolo svolto dalla bottega dell’anonimo maestro.
Le indagini diagnostiche preliminari ai restauri hanno accertato che il primo rimaneggiamento interessò tutti quanti gli incarnati, le dieci stelle di stagno dorato, il manto della Madonna e la tunica rossa del san Giovanni sul recto; il secondo riguardò principalmente le ali e le vesti degli angeli e della Madonna orante sulla cimasa, il perizoma del Cristo e il manto dei dolenti sul recto e il fondo della croce da ambo i lati che ricevette il pesante strato di azzurrite che lo caratterizza, mentre l’iscrizione REX GL[ORI]E va assegnata alla primitiva stesura. Al restauro del 1992-1993 si deve anche la riscoperta, oltre che dei fiotti di sangue sul verso della tavola, della scritta vermiglia FRANCISCUS proprio sopra la testa del santo, in assenza della quale alcuni – come Cecchini (“un frate”) e Santi (“un religioso”) – non erano riusciti a riconoscere san Francesco nella figura genuflessa ai piedi del Cristo.
Marco Pierini

