Il rosso vivace e le pieghe delle vesti sembrano guidare il movimento delle figure in fila che popolano il paliotto di San Felice di Giano. È il momento del Giudizio Finale e i personaggi si muovono ordinatamente verso Cristo, al centro, seduto sul trono.Nella parte inferiore del paliotto, invece, l’ordine si spezza e il movimento si fa concitato: il racconto si concentra su san Felice e il suo martirio avvenuto tra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C.
L’artista non ci risparmia i dettagli e racconta con precisione anche i momenti più crudi, come l'immersione del santo in una caldaia bollente, l'esposizione al fuoco su una grata e la decapitazione finale.
L’opera, datata intorno al 1250, potrebbe provenire dall’abbazia benedettina di San Felice a Giano dell’Umbria dove, secondo la tradizione, venne trasportato il santo dopo la decapitazione. Nella cripta della chiesa si conserva ancora oggi un sarcofago venerato come sua sepoltura. Il nome del maestro che dipinse l’opera rimane un mistero e per questo lo conosciamo solo come Maestro di San Felice di Giano.
Per dimensioni, struttura e soggetto iconografico, l’opera è identificabile come paliotto o antependium, elemento posto a rivestimento della parte anteriore di un altare. Il cattivo stato di conservazione rende solo intuibili le figure di angeli e santi lungo la cornice. La suddivisione della tavola in tre registri decorativi orizzontali è tipica dell’area spoletina, alla quale afferisce la cultura figurativa dell’anonimo pittore.
Il registro superiore e il mediano alludono al Giudizio finale, con il Cristo in gloria entro una mandorla e apostoli e profeti disposti ai lati, insieme alla Vergine e a Giovanni Battista. Ai piedi di ciascun personaggio è iscritto il nome, i profeti recano anche cartigli con le rispettive profezie. Nella parte inferiore è narrata la Passio di san Felice, vescovo di Vicus Martis (Massa Martana), il quale, stando alla tradizione, durante la diarchia di Massimiano e Diocleziano fu perseguitato e giustiziato dal prefetto Tarquinio.
Gli episodi del martirio del sono rappresentati ai lati di un medaglione con l’Agnello mistico, al cui cospetto si inginocchia il monaco donatore. L’opera proviene con ogni probabilità dall’abbazia benedettina di San Felice presso Giano dell’Umbria, sorta nel sito in cui il corpo del vescovo sarebbe stato trasportato dalla vicina Vicus Martis dopo la decapitazione. Nella cripta della chiesa si conserva tuttora un sarcofago venerato come sua sepoltura.
Pittura a tempera realizzata su un dossale di legno di pioppo; sulla cornice in cattivo stato di conservazione si intravedono figure di santi e angeli.
L’opera è suddivisa in tre sezioni orizzontali che rappresentano scene e figure in sequenza continua.
La sezione superiore e quella mediana raffigurano il Giudizio finale. Al centro della tavola, dentro una mandorla, compare Cristo benedicente seduto in trono e con un’ampia veste rossa. Ai suoi lati si trovano la Vergine, Giovanni Battista, apostoli e profeti. Il nome di ogni personaggio della scena è indicato in una sottile banda rossa ai suoi piedi, mentre i profeti reggono un cartiglio con le loro profezie.
La sezione inferiore, invece, racconta la Passione di san Felice e il suo martirio: l'interrogatorio, la flagellazione, l'immersione in una caldaia bollente, l'esposizione al fuoco su una grata, e infine la decapitazione. Al centro della narrazione del martirio si trova un medaglione con l’Agnello mistico, al cui cospetto si inginocchia il monaco donatore.