La croce sagomata, con fondo dorato, ospita una seconda croce dipinta di nero e fissata sulla roccia del Golgota, all’interno della quale è il teschio di Adamo, bagnato dal sangue che a rivoli sgorga dai piedi del Cristo. In epoca ignota il supporto è stato risegato, comportando la perdita della testata superiore con l’immagine del Pellicano che nutre i piccoli nel nido e delle testate laterali dove, probabilmente, erano raffigurati la Madonna e san Giovanni Evangelista. Il Cristo è rappresentato con la testa reclinata sulla spalla e gli occhi tumefatti, il corpo è flessuoso, leggermente arcuato, con il peso che grava sulle gambe; il Figlio di Dio è rappresentato nell’attimo immediatamente successivo al trapasso evidenziando tutta la tragicità dell’evento.
Dal fondo emergono i volumi e la consistenza corporea, nonostante il rifacimento del fondo oro, in epoca sconosciuta, determini un po’ l’effetto di silhouette ritagliata, sicuramente non previsto. Il morbido e trasparente perizoma, mosso da fitte pieghe, con naturalezza segue il profilo delle gambe.
La tavola, di elevata qualità formale, denota una stretta adesione al linguaggio di Giotto. I modelli sono senz’altro le croci di Santa Maria Novella e di Rimini dalle quali deriva non solo la concezione dei volumi e dello spazio, ma anche lo schema della crocifissione a tre chiodi in sostituzione di quella classica a quattro. La croce afferisce a una tipologia di croci giottesche che si caratterizzano per la testa del Cristo raffigurata di tre quarti, per il bacino incurvato e le gambe piegate e leggermente divaricate.
Il dipinto, del quale si ignora l’originale ubicazione, faceva parte della collezione del noto critico americano Frederick Mason Perkins e nel 1964 fu donato alla Galleria Nazionale dell’Umbria dalla moglie Irene Vavasour Elder. Scartate le attribuzioni a Taddeo Gaddi e al Maestro di San Martino alla Palma, la critica ha riferito l’opera ad un pittore giottesco. L’ipotesi avanzata di un’opera autografa di Giotto non sembra accettabile per alcuni studiosi che hanno ritenuto più verosimile ricercare l’autore della croce nel gruppo di personalità artistiche, di altissimo livello, che emergono a Firenze nel primo quarto del Trecento e che pur aderendo al linguaggio di Giotto in parte lo rielaborano, declinandolo in forme più addolcite e prive di eccessi. Per l’anonimo pittore della croce di Perugia è stato suggerito il nome di “Maestro della Croce Perkins”.
Liana Baruffi